FORESTIERI
- Luciana Boux
- 18 ago 2015
- Tempo di lettura: 4 min

Donatella e io ci sentivamo giornaliste, quel pomeriggio. Armate di block notes, ci siamo avvicinate alla villetta in cui sono ospitati ventiquattro rifugiati di cui non sapevamo nulla, o quasi. In realtà sapevamo quel che in paese si diceva, sono neri, vengono dall'Africa, no, alcuni arrivano dalla Siria, pare ce ne sia uno del Pakistan, sono giovani, no, non tutti, cosa ci fanno qui, sono scappati dal loro paese perché là c'è la guerra, l'hanno detto alla televisione, ah, sono quelli che arrivano coi barconi che ogni tanto ne affonda uno e muoiono a centinaia, ma ci sono anche bambini?, no, niente bambini, sono ragazzi e uomini, sì, va bene, poverini, ma qui a Zelo già non ce n'è per noi che siamo messi così male che hanno chiuso anche la fontana in Piazza Italia, e dobbiamo mantenere anche questi qui? no, ma paga lo Stato, veramente è l'Europa... Entriamo. La villetta ha l'aria ordinata e silenziosa. La maggior parte degli ospiti deve essere in casa, fuori due o tre ragazzi che sembrano molto giovani sentono musica negli auricolari. Stringono in mano il loro cellulare, forse è l'unica cosa che possiedono, il contatto con un oggetto famigliare è importante, quello seduto sulla panca è giovanissimo, forse le sue mani ricordano ancora l'orsacchiotto che stringeva da bambino, ma in Africa i bambini dormono con gli orsi di peluche? O le giraffe? Scaccio queste stupide fantasie, mi accoglie la responsabile della casa di accoglienza, a cui rivolgiamo le domande che il paese si pone. Sono per la maggior parte giovani, alcuni sono ragazzini, fuggono dai loro paesi per paura di essere uccisi, imprigionati, torturati, tutti indistintamente avrebbero voluto rimanere al loro paese, nel loro villaggio, nella loro città, dove facevano i pastori, i muratori, gli studenti, loro sono quelli che hanno cercato di salvarsi, tutti hanno negli occhi il pensiero della sorellina che hanno abbandonato ai parenti per tentare il Viaggio della salvezza, la madre che li ha spinti alla fuga ma lei ora è là in balia dei terroristi, delle bande armate, uattro dei rifugiati a Zelo si raccontano. 1) Ho lasciato il Senegal il 22 Aprile del 2012 a causa di problemi familiari. A marzo del 2011 mio padre, durante il suo lavoro di muratore, è caduto da una impalcatura ed è morto. Dopo più di un mese dalla sua morte, è venuto a fare visita alla mia famiglia il proprietario della casa che mio padre stava costruendo. Egli D Q dei soldati governativi corrotti e avidi. E non stiamo guardando un film. Non stiamo leggendo un romanzo. La responsabile della casa ci racconta alcune delle loro storie, poi chiama i ragazzi, sono timidi, solo in tre si avvicinano, oltre che nella loro lingua locale parlano il francese e l'inglese, meglio di molti nostri liceali, mi viene da pensare. Anche loro raccontano, ma soprattutto parlano delle loro speranze. Sperano di riprendere gli studi, alcuni vorrebbero subito lavorare, ma non si può, ci sono delle leggi, ci sono problemi di sicurezza, precisa la responsabile, dovete avere pazienza, aspettare. Appunto, aspettare. Perché ci sono meccanismi burocratici, tempi tecnici, fondi erogabili, termini inderogabili Tre volte alla settimana un'insegnante impartisce loro lezioni di Italiano. Imparano in fretta, dice, sanno già dire qualche frase. Certo, l'autonomia passa anche attraverso la padronanza della Lingua locale e il loro obiettivo, di tutti, fin dall'inizio del loro viaggio, è trovare un lavoro che permetta loro di vivere dignitosamente. E anche di mandare qualcosa a chi è rimasto al loro Paese. Perché a Zelo? chiediamo. Ovunque, in tutta Italia, è la risposta. Noi vediamo sul nostro televisore i drammatici sbarchi, i salvataggi, i primissimi soccorsi. E poi? Che ne è di tutti quelle migliaia di persone che si sono aggrappate alle nostre coste, si sono arrampicate sulle nostre terre confidando nell'istinto caritatevole degli Esseri Umani, fratelli in questa unica famiglia che è l'Umanità? Così scopriamo che vi sono delle Convenzioni fra gli Stati Europei che stabiliscono delle regole condivise da tutti, andiamo a vedere nel sito del Ministero degli Esteri, degli Interni, della Prefettura. Scarichiamo la documentazione relativa alle Leggi, ai Decreti, scopriamo con un po' di sgomento le difficoltà relative ai permessi di soggiorno, all'ottenimento di Stato di Rifugiato, sono tanti, sono troppi, non si voleva che io ed i miei tre fratelli pagassimo i lavori che restavano da fare . Non avendo la sufficiente disponibilità finanziaria, noi ci siamo rifiutati. A quel punto il proprietario ha cominciato a minacciarci con insistenza rendendo la nostra vita difficile. Ci diceva che avrebbe bruciato la nostra casa e spesso ci minacciava di compiere atti violenti verso di noi. Per questa ragione abbiamo deciso di prevedeva un così ingente flusso, gli uffici sono oberati dal lavoro. La responsabile della Casa, una sorta di mamma per tutti loro, la chiamano Mamma Africa, ha negli occhi, nei gesti, nella voce l'ansia di una madre con troppi figli e pochi soldi. Sorride, anche, si fa coraggio e cerca di comunicare coraggio ai ragazzi. Al Comune non è chiesto nulla, non gli compete intervenire economicamente in questa situazione: la Cooperativa che ha preso in gestione i rifugiati riceve i fondi direttamente dalla Prefettura di Lodi. A volte con qualche ritardo, ma li riceve e con questi provvede alle necessità della Casa, più qualche spicciolo, due euro e cinquanta centesimi al giorno ciascuno, per le piccole necessità private, come la ricarica telefonica per chiamare casa. Aspettando di poter un giorno lavorare, qualcuno osa esprimere un desiderio, timidamente, avere delle scarpe da calcio per giocare e formare una Squadra. O due Squadre, con i ragazzi di Zelo. Conoscono l'Inter, il Milan, la Juve, possibile, ma davvero il Mondo è così piccolo? Salutiamo, usciamo in strada, guardiamo il nostro block notes, è vuoto, tentiamo di nascondere con disinvoltura l'emozione, abbiamo nella mente i nostri figli, per puro caso nati nella parte fortunata del Globo, ci portiamo dentro gli occhi giovani da cui ci stiamo allontanando, in cui già le guerre, la fame, la solitudine, la traversata, i maltrattamenti stanno cedendo inesorabilmente il posto alla speranza. Ah, i giovani! Abbiamo visto balenare un sorriso bianchissimo dietro alla fantasia di un paio di scarpe DA CALCIO. Il Comune non ha alcun obbligo. Ma la parte migliore dei cittadini di Zelo non potrà non adottare quei ragazzi, in uno slancio di generosa amicizia, con piccoli gesti, ognuno secondo le proprie possibilità. Perché un giorno, prossimo o lontano, alcuni di loro diventeranno Cittadini italiani, e sarà anche merito nostro se saranno Cittadini migliori.
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