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Profughi: facciamo chiarezza (parte 1)

  • G.Paolo Lizzi
  • 18 ago 2015
  • Tempo di lettura: 2 min

Dalle coste del Medio Oriente e dall'Africa, sono migliaia i profughi che ogni anno e ogni mese giungono sulle coste delle isole italiane, in cerca di un pasto, di un rifugio e di una possibilità che non hanno trovato nel loro paese. Sono donne, bambini e uomini disperati che, sopra un misero barcone, arrivano verso l'Europa

affrontando onde e intemperie. Scacciati da altri Stati si dirigono verso il “Bel Paese” aperto a ogni etnia, a ogni uomo bisognoso. E l'Italia non fa che accoglierli e aiutarli, e l'Europa se ne sta comoda a guardare senza muovere un dito. Ma a volte, come pochi giorni fa, capita che questi migranti non riescano a giungere a destinazione, morendo in quelle acque senza più un'identità: corpi che, come alghe spostate dalla corrente, giungono a riva un po' alla volta. La tragedia avvenuta a Lampedusa è solo un altro dei numerosi problemi che deriva dal fenomeno dell'immigrazione, che si va a sommare anche alle tante preoccupazioni che affliggono il nostro paese in questo periodo. Ormai la partita dell’Italia per affrontare l’emergenza profughi nel Mediterraneo, si gioca su tre tavoli, uno internazionale, uno europeo e uno nazionale. Negli ultimi giorni, Federica Mogherini, capo della diplomazia dell’Ue, è stata a New York per cercare una copertura delle Nazioni Unite alla lotta contro gli scafisti che riempiono i barconi di disperati. Si cerca una risoluzione che autorizzi, secondo la bozza che sta circolando, “l'uso di tutti i mezzi per distruggere il modello di business dei trafficanti di esseri umani". La risoluzione permetterebbe anche di distruggere i barconi prima che vengano utilizzati. Si tratterebbe insomma di un’operazione di polizia internazionale, che vedrebbe schierate più nazioni ma il cui coordinamento potrebbe toccare all’Italia. Molte le incognite: Gran Bretagna e Francia, che hanno diritto di veto, sono favorevoli; incerta invece la risposta degli altri tre membri permanenti: Usa, Cina e, soprattutto, Russia. Ci sono poi da tenere presenti i rischi dell’uso della forza, dove i trafficanti potrebbero utilizzare i migranti e profughi come scudi umani e il fatto che il governo libico di Tobruk ha già fatto capire di non gradire interferenze sul proprio territorio. A livello europeo si punta invece a un potenziamento e allargamento del raggio di azione dell’operazione Triton per salvare vite umane e a un maggior coordinamento tra polizie e intelligence europee nella lotta ai trafficanti. L’obiettivo principale rimane però una distribuzione dei profughi in tutto il territorio europeo con un sistema di quote vincolante, non volontario. L’idea è legare il numero di profughi da “imporre” a ogni stato membro a valutazioni relative al Pil, al tasso di disoccupazione e ai richiedenti asilo già ospitati. Su questo punto ci sono però già Stati come la Gran Bretagna che non vogliono collaborare e comunque come precondizione viene posta una corretta identificazione dei profughi in Italia, che andrebbero fotosegnalati e trattenuti nei centri di accoglienza.

MA CHI SPECULA SUI PROFUGHI?

Un miliardo e 300 milioni: è quello che ha speso finora lo Stato per assistere le persone fuggite da paesi in guerra o dove esistano persecuzioni di ogni genere. Un fiume di denaro che spesso si è trasformato in business. Erano affamati e disperati, un'ondata umana in fuga dalle loro terre di origine: fino a oggi e dallo scorso anno l'esodo ha portato sulle nostre coste 100 mila persone. Profughi, accolti come tali dall'Italia o emigrati in fretta nel resto d'Europa: solo 21 mila sono rimasti a carico della Protezione Civile. L'assistenza a questo popolo senza patria è stata però gestita nel caos, dando vita a una serie di raggiri e truffe. Con un costo complessivo impressionante di un miliardo e 300 milioni di euro, si ha un costo di circa 20 mila euro a testa per ogni uomo, donna o bambino approdato nel nostro Paese. Ma i soldi non sono andati a loro: questa pioggia di milioni ha alimentato il business dell’immigrazione, arricchendo affaristi d'ogni risma, albergatori spregiudicati, cooperative senza scrupoli. Per ogni profugo lo Stato sborsa fino a 46 euro al giorno, senza verificare le condizioni in cui viene ospitato: in un appartamento di 35 metri quadrati nell'estrema periferia romana ne sono stati accatastati dieci, garantendo un reddito di oltre 12 mila euro al mese.

IN NOME DELL'EMERGENZA

Ancora una volta l’emergenza è diventata la parola magica per scavalcare procedure e controlli. Tutto si è svolto per trattativa privata: un mercato a chi si accaparrava più profughi. E il peggio deve ancora arrivare. In Italia sono rimaste famiglie africane e asiatiche che lavoravano in Libia sotto il regime di Gheddafi. La prima ondata, composta soprattutto da giovani tunisini, ha preso la strada della Francia grazie al permesso umanitario voluto dall'allora Ministro Roberto Maroni. Ma quando Parigi ha chiuso le frontiere, lo stesso Maroni ha varato una strategia federalista: ogni regione ha dovuto accogliere un numero di profughi proporzionale ai suoi abitanti. A coordinare tutto è la Protezione civile, che da Roma ha incaricato le prefetture locali o gli assessorati regionali come responsabili del piano di accoglienza. Ma, nella fretta, non ci sono state regole per stabilire chi potesse ospitare i profughi e come dovessero essere trattati. Così l'assistenza si è trasformata in un affare: bastava una sola telefonata per venire accreditati come "struttura d'accoglienza" e accaparrarsi 1.200 euro al mese per ogni persona. Una manna per centinaia di alberghi vuoti, ex agriturismi, case-vacanze disabitate, residence di periferia e colonie fatiscenti.


 
 
 

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